11 Nov, 2025 - 15:48

Il Frankenstein di Guillermo Del Toro: il "mostro" diventa umano del nuovo capolavoro gotico

In collaborazione con
Arianna Pisciarino
Il Frankenstein di Guillermo Del Toro: il "mostro" diventa umano del nuovo capolavoro gotico

Dopo averlo pensato per circa trent’anni, Guillermo del Toro ha finalmente reso realtà il suo Frankenstein. Presentato a settembre 2025 al Festival di Venezia, il film è stato proiettato in un numero limitato di sale ad ottobre, per poi approdare globalmente su Netflix, il 7 novembre. Con un cast guidato da Oscar Isaac, Jacob Elordi, Mia Goth e Cristopher Waltz, del Toro ha riletto il mito creato da Mary Shelley, con l’intento di creare una rappresentazione della solitudine e del bisogno d’amore che ha contribuito a trasformare il fantastico delle vicende in un vero e proprio specchio umano.

Una trama e un cast che incantano

Il protagonista Victor Frankenstein (Oscar Isaac), è un bambino intelligente, molto legato alla madre e intimorito dal padre autoritario e anaffettivo, medico chirurgo di professione. Dopo la loro scomparsa, Victor inizia a sfidare la morte, inseguendo concretamente la strada della ricerca: come giovane ricercatore medico, egli inizia a presentare, presso l’Università di Edimburgo, delle teorie audaci secondo le quali l’uomo sarebbe in grado di creare la vita a partire dalla morte, sconfiggendo definitivamente quest’ultima.

La relazione di Victor con la sua stessa creazione, tuttavia, simboleggerà una sorta di rapporto conflittuale tra padre e figlio: egli non è un antagonista, ma la sua moralità e le contraddizioni dei suoi sentimenti verso la Creatura renderanno la vicenda ancora più profonda. Del Toro ha voluto esplorare anche l’effettiva vulnerabilità di questo personaggio, con introspezione psicologica e potenza scenografica, e non è un caso che lo scienziato venga definito un moderno Prometeo, sottotitolo del romanzo originale che, soprattutto in questo caso, completa il senso delle vicende: come il mito greco, in cui l’eroe, dopo aver donato il fuoco ad un’umanità non pronta ad accoglierlo, viene punito eternamente, allo stesso modo la scoperta del protagonista è sia invenzione che distruzione.

Il personaggio, inizialmente mosso dal desiderio di superare tutti con la sua conoscenza, dopo aver compreso ciò che ha realmente creato scappa con rifiuto per paura di aver fallito, facendo pagare alla Creatura il prezzo della sua sfrontatezza. L’interpretazione di Jacob Elordi, nei panni della Creatura, ha colpito molto: l’attore australiano (già noto per Euphoria e Priscilla) si è dedicato ad un’importante interpretazione fisica e dal grande impatto visivo, fatta soprattutto di sguardi e silenzi che sottolineano la complessità emotiva del personaggio.

Appena nata, la Creatura è impreparata a confrontarsi con il mondo e, dotata di una forza adulta, ma con la mente di un bambino, inizia ad esplorarlo in modo delicato: per dare credibilità ai movimenti, Elordi ha studiato il butoh, una danza giapponese caratterizzata da movimenti poco naturali che gli hanno permesso di acquisire posture e camminate strane tipiche del personaggio. Anche la sua voce ha richiesto uno studio attento, in quanto ogni parola da esso pronunciata è connessa al modo in cui il suo organismo funziona e questo, con l’aiuto delle musiche, ha dato vita ad una performance efficacie, dall’inizio alla fine.

A completare il cast principale ci sono Mia Goth, che interpreta Elizabeth ed incarna una figura femminile attraente ma anche delicata e compassionevole, di cui Victor si infatua nonostante essa sia già promessa in sposa al fratello minore e Cristopher Waltz, il sovvenzionatore del progetto di Victor, e simbolo della scienza che punta solo al guadagno.

Il "mostro" come metafora dell'uomo

Guillermo del Toro non ha mai nascosto il suo interesse per gli esseri imperfetti, abbandonati o incompresi: Frankenstein rafforza questo suo interesse con intensità religiosa, ambientando le vicende in un’Europa gotica del 1800 che restituisce al mito la dimensione tragica originaria dell’uomo che pensa di potersi sostituire a Dio e di una Creatura che, in cerca d’amore, riceve solo il rifiuto. Del Toro ha voluto concentrare la narrazione sul rapporto tra Victor e la sua Creatura: a raccontarci la storia è prima lo scienziato, poi la sua creazione che, con la sua stessa voce, ci spiega che, in fondo, la sua violenza è solo un modo di fronteggiare ciò che è stato costretto a subire.

Dividendo il film in due parti narrative, il regista sottolinea la solitudine di un essere che non solo non ha chiesto di essere creato, ma che è stato anche respinto da chi avrebbe dovuto proteggerlo: tra Victor e la Creatura si sviluppa, in fondo, lo stesso rapporto che il primo aveva con suo padre e, sotto l’aspetto grottesco della Creatura, emerge l’innocenza di qualcuno che desidera soltanto essere amato. A vivere la tragedia, dunque, è soprattutto quest’ultima che, in seguito al rifiuto, vaga per il mondo in solitudine, imparando l’affetto solo osservandolo tramite gli altri.

Le due parti del racconto si ricollegheranno nella scena del primo vero confronto tra i due: prima che Victor muoia, riesce a scusarsi per il suo comportamento violento, mentre alla Creatura, rispetto al finale più ambiguo del romanzo, sarà offerto un futuro più promettente.

Il lavoro del regista sul classico di Shelley

Del Toro rispetta la struttura narrativa, descrittiva e quasi epistolare del romanzo di Mary Shelley, ma ne manipola anche il senso più profondo, seguendo una doppia strada ricca di aspetti psicanalitici, sulla quale fedeltà tematica e invenzione drammaturgica si mescolano.

Del Toro ha anche rafforzato l’aspetto filosofico delle vicende, facendo sì che la tragedia classica si arricchisse di riflessioni contemporanee sulla solitudine e l’etica della creazione: in un contesto altamente tecnologico e sempre più dominato dall’intelligenza artificiale, come quello in cui viviamo, Frankenstein è un racconto molto attuale, in quanto, con esso, il regista sembra spingerci a domandarci cosa ci renda davvero umani.

Del Toro ha dichiarato più volte che Frankenstein è un film che desiderava realizzare con l’obiettivo di parlare a chiunque, nella propria vita, si fosse sentito “diverso”, fragile o con il bisogno di essere riconosciuto. Quando la Creatura scopre la propria deformità e origine, lo spettatore non si trova più di fronte ad un “mostro”, ma ad un’anima che chiede di essere riconosciuta, motivo per cui, nella sua incessante ricerca di sé, è facile rispecchiarsi. Come spiegato dal regista, infatti, pur essendo Frankenstein un film fortemente biografico, esso parla anche a chi è perso ed è alla ricerca del proprio sé.

Nel finale, Victor afferma che “Quando non si può che esistere per sempre, non resta che vivere”, e in queste parole del Toro racchiude anche il messaggio di speranza che vuole comunicare: è la costante ricerca dell’amore e, dunque, della vita, a renderci più umani. Frankenstein lascia il segno e Netflix, con questo capolavoro, ci offre un prodotto che unisce spettacolo e riflessione, confermando il regista messicano come uno dei più validi del nostro tempo. 

A cura di Arianna Pisciarino

LEGGI ANCHE
LASCIA UN COMMENTO

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.
I campi obbligatori sono contrassegnati con *

Sto inviando il commento...