John Lee Hancock, messa da parte la passione per le true story, scrive e dirige un thriller poliziesco anni ‘90 incentrato sulla ricerca ossessiva della verità. Due uomini della legge a caccia di un folle che ha il volto di Jared Leto, ciondolante e dallo sguardo vacuo, non carismatico quanto si vorrebbe, ma comunque finito in lizza per il Golden Globe al miglior attore non protagonista. Fino all’ultimo indizio, titolo originale The Little Things, è una storia che non da risposte ma insinua dubbi. Si interroga sulla fallibilità di due detective alle prese con il mostro di LA, nel tentativo di catturare le insidie che portano alla degenerazione di un’indagine delicata.Film di genere che si spinge al confine tra legge e giustizia, è perfetto per una serata in casa ma anche per la sala dove, potendo, farebbe di certo la sua figura. Ce lo dimostra anche la performance in patria, uscito in contemporanea su HBO Max e al cinema segna il miglior debutto dall’inizio della pandemia. La produzione è travagliata, lunga trent’anni, con una regia sempre in ballo. Il film, pensato per Spielberg, viene ceduto ad Eastwood e poi a Danny DeVito prima di tornare nelle mani del suo ideatore. Giunto al capolinea, il confronto con l’inarrivabile Se7en del 1995 - da cui non può che uscire sconfitto - è obbligato. Anche se il primato sull’originalità della storia è da discutere perché Hancock scrisse la sua sceneggiatura nel ‘93, il film di Fincher vince a mani basse in quanto a narrazione, che definire avvincete è dire poco, e sagacia dei dialoghi. Fino all’ultimo indizio, dal canto suo, vanta una verosimiglianza e una credibilità nettamente superiore, con una storia solida, almeno fino al finale. Lì, quando la tensione dovrebbe raggiungere il suo massimo, l’azione fatica a tenere il passo.
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