Il sogno di avere qualsiasi informazione a portata di mano è una realtà già da qualche anno, con l’arrivo degli smartphone e dei motori di ricerca. Il passo successivo ha preso il nome di ChatGPT.
Il chatbot realizzato dall’azienda americana OpenAI rappresenta il primo vero sistema di messaggistica (ma non è il solo) con cui un utente riesce ad interagire attivamente e scambiarsi messaggi con una intelligenza sì, ma artificiale. Dall’altro capo della metaforica cornetta infatti a rispondere alle nostre domande c’è un algoritmo che, per cercare di ridurre il codice binario a un semplice pensiero, inanella le parole che con maggiore probabilità si potrebbero concatenare con le precedenti. Il tutto arricchito da un software di apprendimento automatico che, con il passare delle interazioni, diventa sempre più accurato. Così, ponendo una semplice richiesta, l’IA scandaglia il web e fornisce in pochi secondi una risposta. Una vera sorpresa. Che si mischia con una certa inquietudine e timore nei confronti di questo universo al servizio della tradizionale intelligenza umana.
Se i primi dubbi, anche ironici, riguardavano gli studenti che potevano copiare le ricerche scolastiche fatte dal compagno virtuale, il tema si è allargato. E così il dubbio fra intelligenza e ChatGPT è entrato anche nei palazzi della democrazia. Interventi redatti dall’intelligenza artificiale sono stati letti, fra gli altri, in Italia dal Senatore di Azione Marco Lombardo, ma anche dalla Premier danese Mette Frederiksen. Così, con il loro intervento, è stata posta all’ordine del giorno nel dibattito internazionale una domanda che ancora riecheggia: c’è il rischio di farsi soverchiare, ingannare o essere tratti in inganno da un supporto tecnologico? Per questo motivo oltre 350 esperti in questo campo, compreso il creatore di ChatGPT Sam Altman, hanno sottoscritto un documento sui rischi di queste intelligenze artificiali:
Per evitare finali distopici e confinarli solo alle pellicole cinematografiche.