I primi bilanci accertati sulle vittime dell'esplosione di un deposito di carburante in Nagorno-Karabakh parlano chiaro: si tratta di una strage. Si contano almeno 20 morti e quasi 300 feriti, molti dei quali "gravi o gravissimi", nel novero degli individui coinvolti nell'incidente.
Un bilancio che, secondo le autorità locali, potrebbe presto aggravarsi notevolmente. A confermarlo su X Gegham Stepanyan, difensore civico dei diritti umani della regione che si è autoproclamata repubblica separatista.
Ancora da chiarire le cause dell'esplosione, verificatasi a poca distanza dalla città principale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert. Molte persone erano in fila alla stazione di servizio per fare rifornimento. Stavano cercando, secondo una fonte locale, di "andare in Armenia per fuggire dagli azeri".
Il territorio del Nagorno-Karabakh, ubicato geograficamente in Azerbaigian, include dentro di sé una moltitudine di cittadini armeni. Proprio la contesa fra i due Paesi, che va avanti da trent'anni, ha provocato importanti scontri nella regione.
La piccola provincia caucasica ha visto un vero e proprio esodo dei cittadini armeni, diretti verso il loro Paese natale per paura di ritorsioni da parte dell'Azerbaigian. Secondo il governo di Erevan sono almeno 6.500 le persone già fuggite.
Una situazione seguita da vicino dalla Russia, con Mosca che ha annunciato la propria assistenza all'evacuazione dei profughi verso l'Armenia. I militari russi sono sul territorio dal 2020, anno in cui un cessate la mediazione di Mosca portò al cessate il fuoco di un conflitto lungo sei settimane tra l'Azerbaigian e le forze di etnia armena.
Ma la guerra ha radici ben più profonde: è iniziata dopo il dissolvimento dell'Unione Sovietica, nel momento in cui la regione a maggioranza armena finì nei confini dell'Azerbaigian. Attorno alle due fazioni si sono creati degli schieramenti: l'Armenia non può che sostenere i separatisti, mentre ad appoggiare l'Azerbaigian c'è la Turchia. Alla base ragioni etniche, storiche e persino religiose.
La Russia, dal canto suo, fa da intermediaria e si mantiene a metà tra i due schieramenti: negli ultimi giorni è rimasta totalmente immobile ad assistere agli scontri bellici. In campo potrebbero entrare anche gli Stati Uniti, ai quali l'Armenia si è rivolta in cerca di sostegno.
Proprio nelle ore, in corrispondenza con l'esplosione, due inviati americani, Samantha Power e Yury Kim, sono atterrati a Yerevan. Obiettivo "affermare il sostegno Usa alla sovranità, all'indipendenza, all'integrità territoriale e alla democrazia dell'Armenia" e "aiutare ad affrontare le necessità umanitarie derivanti dalle recenti violenze nel Nagorno-Karabakh".
Secondo alcuni analisti non è un caso che l'esplosione sia coincisa con l'arrivo della missione americana. Si tratterebbe di un messaggio, non troppo velato, da parte di chi non gradisce l'intrusione di Washington.
Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che Washington è al lavoro per una missione internazionale. Obiettivo monitorare l'Azerbaigian e i suoi obblighi per garantire i diritti e la sicurezza dei residenti del Nagorno-Karabakh. Lo ha confermato ai giornalisti il portavoce Matthew Miller.