Il Consiglio dei Ministri ha approvato, con lo scopo di introdurre il cosiddetto premierato, ovvero l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, un disegno di legge di riforma costituzionale. Meloni ha affermato che, in questo modo, i cittadini avrebbero il diritto di decidere da chi farsi governare. L’opposizione però si è subito mostrata contraria. Per capire bene di che cosa stiamo parlando e quali potrebbero essere le conseguenze abbiamo parlato con il dottor Federico Girelli, docente di Diritto Costituzionale presso l’Università Niccolò Cusano.
D. Qualora il disegno di legge venisse approvato, in Italia cambierebbero alcuni meccanismi legati alle elezioni del Presidente del Consiglio. Ma di cosa si tratta esattamente? Che cos’è il premierato? E cosa comporta?
R. Il disegno di legge di revisione costituzionale prevede l'elezione diretta del Presidente del Consiglio tramite la sua elezione in una delle Camere del Parlamento che lui indicherà al momento della candidatura. Ciò dà chiaramente una fortissima legittimazione al Presidente del Consiglio perché viene eletto direttamente dal popolo.
Nondimeno però lo stesso disegno di legge prevede comunque che il premier debba chiedere la fiducia alle Camere del Parlamento. Questo obiettivamente è un primo elemento di contraddittorietà di questa nuova costruzione che, come si dice nelle intenzioni, vorrebbe rafforzare ancora di più la figura del Presidente del Consiglio dei ministri.
D. Dal momento che la richiesta della fiducia ci deve comunque essere, ha davvero senso procedere con una riforma di tal genere?
R. Obiettivamente c’è un problema. Nelle sedi istituzionali, i colleghi del nostro Presidente del Consiglio hanno una maggiore autonomia decisionale per come sono strutturate le forme del governo. Bisogna però fare una precisazione. Ovvero che c'è una differenza tra premier e Presidente del Consiglio. Il primo è il leader che guida il governo sostenuto da una forza politica. Pensiamo ad esempio al premier britannico.
Il secondo invece, per come lo definiamo in costituzione, è un primus inter pares. È cioè un ministro all'interno del governo come gli altri, a cui però compete l'attività di guidare e coordinare l'azione generale del governo.
Ora si è costruito un ibrido in questo disegno di legge di revisione costituzionale che forse non raggiunge pienamente lo scopo prefissato all'inizio. C’è poi qualche perplessità sul funzionamento generale delle istituzioni, poiché anche in questo disegno di legge si prevede un'eventuale crisi di governo, però il tutto è molto ingessato.
In primo luogo, in caso di cessazione della carica del premier, il Presidente della Repubblica, per costituzione, è tenuto a incaricare nuovamente il premier. E se questi non riesce a formare un altro governo, allora bisogna dare l'incarico ad un parlamentare della maggioranza che si impegni a seguire e a realizzare il programma di governo enunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri appena eletto alle Camere per ottenere la fiducia che ha perso.
D. Qual è lo scopo della riforma?
R. Possiamo dire che questo è il tentativo di rispondere ad un'esigenza che c'è. Ovvero quella di cercare di consolidare la figura del premier rispetto ad un sistema di maggioranza e di piena collegialità del governo. Sistema che era stato istituito dai costituenti perché si veniva da una dittatura.
Ricordiamo che nel regime fascista il Presidente del Consiglio non si chiamava così, ma si chiamava Capo del Governo. L’ordinamento repubblicano invece rifugge dal termine capo. Ad esempio, nella costituzione, c'è scritto che il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato. È l'unico momento in cui troviamo il termine capo in costituzione. La parola però è scritta con la lettera minuscola.
Il Presidente della Repubblica da noi non ha un potere di governo diretto. In certi frangenti dà indicazioni su quella che è la linea costituzionale, ma il suo potere principalmente lo vediamo nel momento in cui il sistema si inceppa. Lui diventa il punto di riferimento, la figura che riesce a far ripartire il tutto secondo le regole costituzionali.
Non è dunque il capo nel senso di comandante come era il capo del governo nel regime fascista. Ma una figura istituzionale al servizio del miglior funzionamento della costituzione della Repubblica. […] A questo punto possiamo sostenere che interventi che mirano ad istituire dei capi francamente non sono in linea il senso profondo dell'assetto costituzionale repubblicano.
D. Ci sono altri Paesi, in Europa o nel mondo, con la formula del premierato?
R. In precedenza c'è stato un tentativo – che poi non ha superato il vaglio del referendum costituzionale – e che fu definito allora premierato all'italiana. Possiamo poi citare il sistema israeliano, ma noi giuristi lo chiamiamo precedente con conferente. Il caso è diverso. Richiamare l’esperienza israeliana in questo caso è un argomento non solidissimo.
D. L'opposizione ha replicato a Giorgia Meloni definendo questo disegno di legge pasticciato e pericoloso. Ha sostenuto che la riforma non può funzionare. È davvero così, secondo lei? O ci possono essere aspetti positivi?
R. L'opposizione ovviamente fa l'opposizione alla proposta del governo Meloni sul premierato. Il fatto che non sia un vero e proprio gioiello di ingegneria costituzionale lo possiamo dire.
Tra le proposte di questa riforma c'è anche la possibilità di togliere al Presidente della Repubblica la facoltà di nominare i senatori a vita. Questo credo perché vi sia la logica di una costruzione di una maggioranza parlamentare che sostenga il governo che sia veramente frutto solo esclusivamente delle elezioni. Questa soppressione si inserisce nell'idea che la piattaforma parlamentare che sorregge il governo deve essere formata solo dalla maggioranza che ha vinto le elezioni. Quindi tutto l'impianto, per esempio, scongiura la possibilità di fare governi tecnici.
In sintesi c'è la necessità di rafforzare anche la figura del Presidente del Consiglio, però la strada intrapresa non sembra la più lineare.
D. Un ultimo appunto che si potrebbe fare a questo disegno di legge?
R. Il disegno di legge di revisione costituzionale è di iniziativa governativa. Non è certo la prima volta che è il governo a presentare disegni di legge per modificare la Costituzione. In dottrina però si dibatte sull'opportunità che sia il governo ad essere di impulso nella revisione della Carta Costituzionale.
Certo, la Costituzione non lo vieta, però un dominio parlamentare dall'inizio alla fine quando si tratta di revisione della costituzione sarebbe auspicabile. Il fatto che sia il governo a presentare un diritto di legge di revisione costituzionale è possibile. Ma se fosse un'iniziativa squisitamente parlamentare forse il tutto sarebbe anche più coerente.