La verità attorno al caso di Giulio Regeni è ancora lontana dall'essere scoperta. Le indagini intorno alla morte del giovane ricercatore, prima sequestrato e poi brutalmente ucciso in Egitto, al Cairo, erano ferme. Lo sblocco è arrivato dalla Consulta e ha indicato come nuova data per l'udienza il prossimo 4 dicembre. I genitori e gli amici di Regeni invocano giustizia dal 2016, anno in cui il ricercatore è stato ucciso.
Ad essere indagati sono sempre i quattro 007 egiziani, che però non hanno mai presenziato ad una sola udienza. Nello specifico, si tratta di Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. In questi sette anni, nessuno dei quattro si è mai recato in tribunale e il caso ha reso i rapporti tra Italia ed Egitto molto tesi, anche se ora sembrano essersi sfumati.
L'intervento della Consulta è stato necessario perché ha dichiarato illegittimo l'articolo 420-bis del Codice di Procedura penale, secondo cui non è possibile procedere nel caso in cui gli imputati per reato di tortura non sono presenti in aula. Questo si lega al fatto che anche lo Stato di appartenenza degli imputati (vale a dire l'Egitto) non ha assistito al caso, pur essendo stato messo a conoscenza del procedimento in corso.
La Consulta si è espressa in merito, dichiarando non accettabile un mancato avvio del processo a causa di un'assente cooperazione degli imputati o dello Stato a cui loro appartengono.
A rilasciare alcune dichiarazioni a margine della decisione della Consulta sono stati gli stessi genitori di Regeni, che da tempo attendevano un passo avanti nel processo, anche se è servito un ulteriore mese per avere una data riguardo la ripresa effettiva del procedimento.
Il legale della famiglia Regeni ha rilasciato ai social un insolito appello, una richiesta di aiuto a rintracciare gli 007 egiziani. Non si tratta di persone nell'ombra, di cui non si conoscono volti e nomi, ma individui per cui si hanno tutte le generalità.
Già diversi anni fa fu un'inchiesta parlamentare italiana a spingere verso una ferma presa di posizione dell'Italia nei confronti delle autorità egiziane, anche perché dietro alla morte del giovane ricercatore potrebbero esserci importanti apparati statali dell'Egitto.