Concordato preventivo biennale: si può parlare di flop? Il concordato preventivo biennale, introdotto quest'anno con l'obiettivo di semplificare e incentivare la regolarizzazione fiscale delle partite IVA, non sta riscuotendo il successo sperato. Con un'adesione minima da parte dei contribuenti e molteplici dubbi sulla sua efficacia, vediamo più da vicino i problemi che affliggono questo strumento e le possibili soluzioni proposte dagli esperti del settore.
Il concordato preventivo biennale permette ai contribuenti di dichiarare un reddito proposto dall'Agenzia delle Entrate, basato sui dati in suo possesso e su quelli forniti dal contribuente stesso. Accettando questa proposta, i contribuenti pagano le imposte su questo reddito per due anni d’imposta (2024 e 2025) o per un anno (2024) nel caso dei contribuenti forfettari, evitando successivi controlli fiscali.
Secondo quanto riportato da La Stampa, solo il 2% dei contribuenti ha aderito al concordato preventivo biennale. In termini assoluti, si parla di poco più di 90.000 persone su una platea di 4,5 milioni di contribuenti tra partite IVA e forfettari. Questo dato è particolarmente preoccupante considerando che l'obiettivo era di raccogliere entrate aggiuntive per 2 miliardi di euro.
Per incentivare l'adesione, il Governo ha introdotto una serie di agevolazioni. Tra queste, uno sconto del 50% sulla base imponibile valutata dal Fisco per il primo anno, mirato a raggiungere il livello ISA 10, considerato di massima affidabilità fiscale. Inoltre, è previsto l'esonero per il visto di conformità per le compensazioni IVA al di sotto di 50.000 euro, e per IRPEF, IRES e IRAP sotto i 20.000 euro.
Nonostante questi incentivi, l'adesione rimane bassa. Una possibile spiegazione è l'infelice tempistica del lancio, avvenuto durante i mesi di giugno e luglio, periodi di intensi adempimenti fiscali. Inoltre, i costi di gestione del concordato, se fatto tramite professionisti, possono risultare onerosi, con onorari che vanno da 150 euro per i forfettari fino a 1.000 euro per gli ISA.
Per aumentare l'adesione, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) ha avanzato diverse proposte. Tra queste, l'introduzione di una tassazione flat sul reddito incrementale concordato, con aliquote variabili dal 10% al 15% in base all'affidabilità fiscale del contribuente.
Il CNDCEC propone anche una soglia di 25.000 euro al di sotto della quale non sarebbe possibile l'attività accertativa, e l'estensione della copertura integrale dagli accertamenti presuntivi ai contribuenti forfettari.
Un'altra proposta riguarda la stabilizzazione del termine del 31 luglio per i versamenti risultanti dalle dichiarazioni, eliminando l'incertezza legata alle proroghe. Inoltre, si suggerisce di estendere a 60 giorni il termine per il versamento delle somme richieste a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.
Pasquale Saggese, Coordinatore della Fondazione Nazionale di Ricerca dei Commercialisti, ha proposto di estendere la riduzione dei termini di accertamento da due a tre anni per chi si dota volontariamente di un Tax Control Framework certificato. Questa misura potrebbe incentivare ulteriormente le imprese a dotarsi di strumenti di controllo interno certificati.
L'Associazione Nazionale Commercialisti (ANC) ha espresso perplessità riguardo al concordato preventivo biennale, sottolineando la mancanza di garanzie contro ulteriori accertamenti in materia IVA e le potenziali cause di decadenza dall'istituto. L'ANC propone clausole di uscita in caso di eventi imprevisti come malattia, infortunio o gravidanza del titolare dell'impresa o del libero professionista.