"Saman è stata uccisa da tutta la famiglia". Lo aveva detto, nel corso della requisitoria, il sostituto procuratore generale Silvia Marzocchi. E lo ha stabilito, infine, la Corte d'Assise d'Appello di Bologna, che ieri, 18 aprile 2025, ha condannato per l'omicidio della 18enne di origine pakistana non solo i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen e lo zio Danish Hasnain, ma anche i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, che in primo grado erano stati assolti.
La decisione dei giudici di secondo grado è arrivata dopo diverse ore di camera di consiglio. Quattro dei cinque imputati sono stati condannati, alla fine, all'ergastolo: oltre ai genitori (a cui sono state riconosciute le aggravanti della premeditazione e dei motivi futili e abietti), anche i cugini della giovane.
Per lo zio, individuato come esecutore materiale dell'omicidio e condannato - in primo grado - a 14 anni di reclusione, la pena è stata aumentata a 22. Un trattamento diverso, legato alla collaborazione con gli inquirenti: fu lui, un anno e mezzo dopo la scomparsa di Saman, a farne ritrovare il cadavere.
Durante l'udienza, l'uomo aveva preso la parola, dichiarandosi innocente. "Se fossi stato coinvolto, non avrei mai aiutato a far individuare la salma", le sue parole. "Ho indicato il punto in cui era sepolta perché avevo un peso addosso".
Prima di lui, anche Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq avevano rilasciato dichiarazioni spontanee. Infine, tramite il suo avvocato, Shabbar aveva detto: "I genitori non ammazzano le figlie. Saman era la mia luce". Evidentemente, non è stato creduto.
Per sapere perché, bisognerà aspettare le motivazioni. Intanto, i legali degli imputati hanno fatto sapere che faranno ricorso in Cassazione, dove si scriverà l'ultimo capitolo della vicenda giudiziaria.
L'avvocato Luigi Scarcella, difensore di uno dei cugini, ha parlato di un'"ingiusta sentenza". Di parere opposto l'avvocato generale dello Stato, Ciro Cascone, secondo cui la decisione seguirebbe "un percorso puramente logico".
La sua ricostruzione è la seguente: Saman, 18 anni, un fidanzato rifiutato dalla famiglia e un matrimonio combinato già deciso con un cugino in Pakistan, sarebbe stata uccisa per essersi ribellata.
Voleva essere indipendente. Libera di vivere la propria vita, rifiutando le nozze imposte per costruirsi un futuro con il ragazzo che amava, Saqib Ayub. Era già fuggita una prima volta. Poi, la sera del 30 aprile 2021, la trappola.
Il video di una telecamera di sorveglianza ha ripreso la 18enne mentre esce di casa con i genitori Shabbar e Nazia e si dirige verso una serra poco distante. È lì che, secondo l'accusa, sarebbe stata strangolata. Determinante, nella ricostruzione dei fatti, è stata la testimonianza del fratello minore, Alì Heider, che all'epoca aveva 18 anni.
In aula, il giovane ha raccontato che quella sera c'erano tutti: genitori, zio e cugini. Sarebbero stati proprio loro - secondo la sua versione - a scavare la profonda fossa in cui Saman è stata ritrovata nel novembre 2022. A quel punto, i genitori si trovavano da diverso tempo in Pakistan.
Il primo a essere arrestato ed estradato è stato Shabbar; successivamente è toccato a Nazia, che nelle scorse settimane ha parlato per la prima volta in aula di quanto accaduto. Ora la sentenza di secondo grado conferma la pena per entrambi, condanna per la prima volta i nipoti e inasprisce quella di Hasnain.
"Giustizia è stata fatta", il commento affidato ai microfoni dei giornalisti dall'avvocata Barbara Iannuccelli, legale di parte civile per Ayub.