23 May, 2025 - 12:32

Le origini antiche e moderne dell'intolleranza

Le origini antiche e moderne dell'intolleranza

Riportiamo ampi stralci della conferenza che il prof. Enrico Ferri, docente di Filosofia del Diritto all’Unicusano, terrà oggi ad Arpino, nella Sala Boncompagni, per gli studenti dell’IIS Tulliano, alle ore 15.00. L’iniziativa è aperta al pubblico ed organizzata in collaborazione con il Comune di Arpino.

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La storia dell’umanità e quella dell’intolleranza spesso si sovrappongono e le tracce dell’intolleranza e del conflitto che spesso ne deriva le ritroviamo in ambiti diversi: nella storiografia, nell’archeologia, nell’arte, nel mito, nella letteratura profana e religiosa. Basti pensare, ad esempio, al racconto biblico di Caino e Abele o a quello mitologico di Romolo e Remo.

 

L’intolleranza è presente nella sfera privata come in quella pubblica e può caratterizzare individui come comunità. Esiste spesso una relazione speculare fra una certa ideologia e uno stile di vita. Pensiamo al discorso di Pericle in elogio ai caduti ateniesi del primo anno della Guerra del Peloponneso. È un elogio della democrazia nel quale si ricorda che la potenza raggiunta da Atene è tale grazie allo stile di vita dei suoi abitanti, fondato sulla libertà, la tolleranza, l’accoglienza dello straniero.

 

Allo stesso tempo, un autore di scuola aristotelica, del IV secolo a.C., Teofrasto, in uno scritto dal titolo “I caratteri” descrive trenta tipi umani, trenta caratteri, appunto, e fra questi c’è il tipo “oligarchico”, che rispecchia l’ideologia autoritaria e intollerante: è un critico delle libertà democratiche e della partecipazione popolare alla vita della città.

 

La parola intolleranza deriva dal latino “Tolerare”, ne è la negazione. Tolerare è sinonimo di “sopportare”. Si può essere intolleranti verso qualcuno, qualcosa, verso un’idea, uno stile di vita, un’ideologia. Ci sono forme e gradi diversi di intolleranza, alcune considerate non solo positive, ma persino necessarie. Mali estremi come l’ingiustizia, la violenza gratuita, la miseria, la malattia, ad esempio, per il comune sentimento non andrebbero tollerati, ma contrastati. Pertanto la tolleranza non sempre è stata considerata un valore e l’intolleranza un disvalore.

 

In quali ambiti può manifestarsi l’intolleranza? In tutti i contesti in cui è presente l’altro, in cui si pone la questione dell’alterità. L’altro, per usare un linguaggio filosofico, può essere visto come il non-io, una realtà diversa da me, diversità che può arrivare all’ incompatibilità. Può essere un’altra persona, un’idea diversa dalla mia, cioè un modo diverso di vedere la realtà, uno stile di vita nel quale non mi riconosco. L’alterità per il solo fatto di esistere può essere vista come un pericolo, una minaccia, qualcosa che non si può tollerare.

 

Nel corso della storia europea e non solo, l’intolleranza è stata spesso la regola. Nell’Europa cristiana non erano tollerate religioni diverse dal Cristianesimo; per secoli una sola versione del Cristianesimo, quella della Chiesa di Roma, cattolica e apostolica. Ancora in epoca moderna, nel XX° secolo, in regimi come quello Fascista o Comunista non erano ammesse altre ideologie, altre visioni della realtà.

 

Ma esiste una formula in grado di definire e ricomprendere tutte le forme di intolleranza? Credo di si: se si ha una sola idea o versione della realtà, di Dio, della verità, della giustizia, del bene, della politica, ecc., tutto ciò che diverge da questo modello unico, che non ammette alternative, viene considerato irreale, eretico, falso, ingiusto, viene descritto come “il male”.

 

In una società fondata su principi ritenuti assoluti ed incontrovertibili, poco importa se di natura religiosa o immanente, ad esempio il Cristianesimo e il Comunismo marxiano, tutto ciò che si discosta e diverge da tali principi, viene bollato come falso, come deviante, come sbagliato.

 

Nel corso della storia europea abbiamo due modelli culturali e in senso lato ideologici che più di altri hanno rivendicato la pretesa di detenere la verità, la ragione, o comunque un diritto assoluto ed incontrovertibile di esistere e di imporsi. Mi riferisco alle religioni monoteistiche abramitiche, per un verso, ed allo stato assoluto che nasce nella modernità. Gli ambiti della religione e dello stato sono parzialmente diversi, ma monoteismo e stato assoluto si fondano su presupposti simili, speculari.

 

Quali sono le caratteristiche distintive del Monoteismo abramitico di cui il Cristianesimo è parte con l’Ebraismo e l’Islam? L’unicità/esclusività di Dio: “Non avrai altro Dio fuori di Me”, leggiamo nella Genesi; “Credo in unum Deum”, si afferma negli Atti del Concilio di Nicea; “Non c’è Dio al di fuori di Dio” è la prima parte della Shahada , la professione di fede nell’Islam. L’altra caratteristica essenziale consiste nel fatto che il Dio unico di Abramo è un Dio creatore di ogni cosa, dell’uomo come dell’Universo: “Creatore e Signore del Cielo e della Terra” leggiamo nel Credo di Nicea. Nel Corano Allah è definito “Il Signore dei Mondi” (conosciuti o meno che siano dagli uomini) e la sua perfezione ed assolutezza è rappresentata da 99 nomi, che secondo la tradizione, la Sunna, troviamo nel Corano per definire le manifestazioni, la natura di Allah, di Dio.

 

In uno dei commentari più noti dei 99 nomi di Allah, quello del teologo e mistico persiano Al Ghazali, nelle prime battute, a proposito del primo nome Allah/Dio , nome “che riunisce tutte le qualità divine”, leggiamo: “Ogni forma di esistenza al difuori di Lui differisce da Lui e non merita di esistere se non grazie ad Allah, perché ha ricevuto da Allah la sua esistenza”.

 

Ne deriva che il rapporto che si crea fra Uomo e Dio è quello che esiste fra la creatura e il creatore. Un rapporto di assoluta subordinazione e dipendenza dell’uomo da Dio. All’uomo si chiede di compiere il disegno divino, la missione per cui è stato creato. Missione rivelata direttamente da Dio, in vari modi e poi raccolta in testi che per questo motivo vengono definiti sacri: la Thora, i Vangeli, il Corano.

 

Il carattere esclusivista di queste religioni abramitiche coinvolge solo i loro aderenti, fino a quando restano religioni minoritarie in un contesto pluriconfessionale più ampio. La situazione cambia radicalmente quando religioni monoteiste come il Cristianesimo e l’Islam diventano religioni di Stato, per giunta le uniche ammesse.

 

È quanto avviene nell’Impero Romano con Teodosio, che nel 380, con l’Editto di Tessalonica dichiara il Cristianesimo della chiesa cattolica l’unica religione ammessa. Ne derivò l’inammissibilità e l’intolleranza per tutte le altre credenze, non solo la religione politeista , ma pure le varie correnti del cristianesimo diverse dal cattolicesimo, considerate “eresie”, cioè deviazioni false e fuorvianti.

 

Non si chiedeva ai sudditi dell’impero romano esclusivamente di aderire nell’intimo ad una nuova religione; il monoteismo ha la pretesa di regolare tutti gli aspetti della vita umana, detta le regole su tutto: dall’alimentazione al vestiario, dalla sessualità all’igiene personale. Tertulliano, ad esempio, nel De cultu feminarum vieta alle donne di truccarsi, perché farsi belle per suscitare il desiderio maschile è, a suo dire, pratica tipica delle prostitute.

 

Nel 480 con l’Editto di Tessalonica si stabilisce che l’unica religione ammessa nell’Impero romano è quella cattolica, praticata dai vescovi di Roma e di Alessandria e che l’arianesimo e le altre confessioni cristiane sono da considerarsi eretiche. “ Per la prima volta, nota Giovanni Filoramo, una verità dottrinale veniva imposta come legge di Stato e, di conseguenza, la dissidenza religiosa si trasformava giuridicamente in crimen publicum: ora gli eretici potevano e dovevano essere perseguitati come pericolo pubblico e nemici dello Stato”.

 

Se la Chiesa cattolica diveniva chiesa dell’Impero, quest’ultimo gradualmente si sacralizzava fino a diventare con Carlo Magno “Sacro Romano Impero”.

 

Per quanto riguarda la libertà, nelle religioni abramitiche si è liberi soltanto di accettare o meno la Rivelazione, la chiamata divina. Chi non l’accetta è condannato alla perdizione e all’inferno. Ma quando la religione diventa dottrina e fondamento dello Stato, chi la rifiuta è considerato un criminale e l’inferno lo troverà prima sulla terra. Già Costantino, come ricorda Eusebio di Cesarea nella biografia del primo imperatore cristiano, ritiene l’esistenza degli eretici un problema di ordine pubblico, ne proibisce le adunanze e ne sequestra le sedi.

 

La tolleranza si fonda sul riconoscimento del valore del pluralismo e della libertà di essere diversi ed originali. Ma la diversità, per gli apologeti cristiani è sinonimo di incertezza e “l’incertezza è figlia del diavolo”, si legge nella cronaca del Concilio di Nicea [ De decretis Nicaenae Synodi ] redatta da Atanasio. Ma pure la libertà individuale nella prospettiva del monoteismo abramitico è considerata come un’espressione della superbia e della presunzione, cioè un tentativo di sovrapporre la scelta individuale alla volontà divina. Non a caso mangiare la mela simbolo della conoscenza e di una coscienza individuale, è considerato nella Bibbia il prototipo di tutti i peccati.

 

Nella prospettiva del monoteismo, almeno quella più diffusa sul piano storico, l’intolleranza si mostra su almeno due diversi piani: verso quanti non si adeguano alla religione rivelata e verso chi non è conforme all’interpretazione che della rivelazione dà l’autorità religiosa, nel caso del Cattolicesimo, nei confronti di chi non si adegua alla dottrina della Chiesa.

 

A queste due forme di intolleranza corrispondono due forme di persecuzione verso i non cristiani (ebrei, musulmani, pagani, ecc.) e i non conformi alla dottrina della Chiesa, verso quanti sono ritenuti eretici.

 

Altra forma all’origine dell’intolleranza nel mondo moderno è quella legata alla nascita dello “Stato moderno”, in particolare dello Stato assoluto. Si forma su base nazionale con una popolazione sostanzialmente omogenea per caratteri etnici, linguistici e religiosi. Anche se questa omogeneità è stata quasi sempre un punto d’arrivo, non di partenza, ottenuta in seguito a guerre, stragi e deportazioni.

 

Che significa “Stato assoluto”? Absolutus significa “sciolto da”, nel caso specifico libero da ogni vincolo ed autorità a lui estranea. Lo stato assoluto è una sorta di Dio in terra, il Leviatano di cui parla Thomas Hobbes. È un’autorità “superiorem non recognoscens”, che non ha niente e nessuno a sé superiore. Formula usata dai canonisti medievali per definire l’autorità divina.

 

Per legittimare, cioè giustificare un potere assoluto bisognava fondarlo su principi altrettanto certi, incontrovertibili, come ad esempio Dio o la Scienza. I totalitarismi moderni come il Fascismo e il Comunismo pretendono di affermarsi su presupposti certi ed assoluti come la razza considerata un primigenio fattore biologico e vitale o, nel comunismo marxiano, sull’analisi scientifica del reale, il cosiddetto “materialismo storico” alla base del socialismo scientifico di Marx.

 

La visione razzistica presuppone che l’umanità sia divisa in razze, cioè in gruppi umani diversi per caratteristiche psico-fisiche che esprimono diversi livelli di intelligenza e civiltà. Il Clauss, in uno scritto del 1941, Rasse und Seele, si spinse a parlare di una “razza dell’anima”, a sostenere che la razza era espressione di differenze presenti nell’essenza stessa dell’uomo, nell’anima. Ogni razzismo teorizza anche una gerarchia fra le razze ed agli estremi della scala gerarchica si trova nella parte alta un tipo d’uomo vicino alla divinità mentre nella parte più bassa uomini simili alle bestie. Quelli che i nazisti definivano i superuomini (Übermenschen) e i sotto-uomini (Untermenschen). Questa visione razzista produsse come primo risultato, neanche il più cruento, una legislazione fondata sull’apartheid, cioè sulla separazione fra la popolazione di razze supposte diverse. Fra ariani e non ariani in Germania e fra popolazione bianca ed afro-americani negli USA fino a tempi assai recenti. Diversità diventa sinonimo di inferiorità e di disvalore, di qualcosa o qualcuno da tenere distante, da allontanare, se non sopprimere. Censura, separazione, persecuzione, infine eliminazione fisica fu la sequenza in cui furono coinvolti gli ebrei prima in Germania e poi in Europa negli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo. L’assolutamente diverso nella prospettiva razzista è il male assoluto che rappresenta un pericolo costante da eliminare alla radice. Gli ebrei erano equiparati ai topi, a fattori patogeni con i quali era impossibile convivere. Ad un medico nazista fu chiesto perché avesse rinnegato il “Giuramento di Ippocrate” sopprimendo degli ebrei; lui rispose che non si sentiva in colpa per “aver eliminato un cancro dal corpo dell’umanità”.

 

Nell’altro grande totalitarismo del Novecento, nel Comunismo marxiano, si pensa di fondare un progetto di liberazione universale su basi scientifiche e materialistiche. Non a caso la filosofia della storia marxiana di derivazione hegeliana, teoria che preconizzava il comunismo come esito certo della storia umana, è definita “materialismo storico”. Questo comunismo è stato definito “scientifico”, termine sinonimo di certezza e oggettività. Ma se il metodo marxiano ha pretese di scientificità gli esiti sono religiosi, quasi metafisici, nel senso che vuole realizzare una forma di convivenza che, con linguaggio hegeliano (Hegel era stato il maestro di Marx), potremmo definire “Il Regno di Dio in terra”. In uno scritto del 1844 noto come “I manoscritti economico-filosofici”, Karl Marx definisce il comunismo “La soluzione dell’enigma della storia, la conciliazione fra esistenza ed essenza”. La dimensione in cui la vita reale (l’esistenza) è un tutt’uno con la vita ideale (l’essenza), cioè la vita quotidiana realizza appieno la natura dell’uomo. Viene meno l’alienazione che caratterizza tutte le forme di società prima conosciute, in cui la vita quotidiana nega le profonde e naturali aspirazioni dell’uomo.

 

In altri termini il comunismo viene presentato come la realizzazione totale, universale e definitiva delle aspirazioni umane. Una dimensione più vicina al Paradiso delle varie religioni che a forme di società storicamente conosciute ed infatti non si ispira a nessun modello storico. Il comunismo quando si è realizzato storicamente ha prodotto radicali forme di intolleranza verso ogni alterità, verso ogni dissidenza. Il dissidente era due volte colpevole: in quanto negava un’ideologia che pretendeva di fondarsi su presupposti materialistici, certi, scientificamente provati. Per un altro verso negava l’aspirazione e il progetto di un’umanità liberata, redenta, felice, un avvenire radioso riassunto nella formula “il sol dell’Avvenir”.  

 

 A coloro che contrastavano il comunismo come metodo scientifico e come progetto salvifico era riservato il manicomio o il carcere: solo persone perturbate potevano negare il comunismo scientifico, sarebbe stato come negare il fondamento della matematica o del teorema di Pitagora. Solo persone intrinsecamente malvagie potevano opporsi a un progetto di liberazione universale. I primi meritavano il manicomio, i secondi il carcere.

 

Il Fascismo e il Comunismo sono il prototipo di tutte le forme moderne di autoritarismo che al di là dei rispettivi contenuti specifici hanno in comune il rifiuto e l’intolleranza verso ogni forma di alterità e diversità.

 

Il Novecento però ha pure prodotto degli antidoti all’intolleranza e al totalitarismo, forme di democrazia fondate sul pluralismo, sulla valorizzazione della diversità, sul primato della libertà tanto dei singoli che delle varie organizzazioni sociali. Democrazie fondate sull’accoglienza dello straniero, sulla solidarietà fra i popoli, sul riconoscimento della sostanziale uguaglianza fra gli uomini, uomini che rivendicano i loro diritti fondamentali, come quelli ad un’esistenza libera e dignitosa, soprattutto a partire dalla loro condizione di esseri umani. Ma l’umanità dell’uomo non è solo un punto di partenza, ma pure un punto di arrivo che si conquista attraverso la cultura e la scelta di valori come la giustizia e la solidarietà e l’adozione di comportamenti conseguenti.

Enrico Ferri, professore di Filosofia del Diritto all’Unicusano

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