Se sei un uomo di destra hai meno possibilità di rimorchiare sulle app di incontri. Sembra una battuta, ma è realtà.
La redazione di Tag24, dopo aver ricevuto alcune segnalazioni da utenti, ha deciso di approfondire un curioso fenomeno che emerge nelle app di incontri, in particolare su Hinge (applicazione che adesso va per la maggiore, dopo aver scalzato anche Tinder).
Scorrendo tra centinaia di profili femminili, non è raro imbattersi in frasi del tipo: “Non dovresti uscire con me se sei di destra”, “Non mi contattare se voti Meloni”, “Non possiamo andare d’accordo se non sei di sinistra”.
Un segnale di chiusura politica che affiora anche nei contesti più privati ed emozionali, come la ricerca di un partner.
Curiosamente, la tendenza appare unidirezionale: di profili di ragazze di destra che esplicitamente dichiarano di non voler essere contattate da uomini di sinistra, non ne abbiamo trovato nemmeno uno.
Un dettaglio apparentemente banale, ma che rivela un sintomo più profondo della nostra epoca: l’intolleranza ideologica è ormai penetrata in ogni ambito, fino a diventare criterio sentimentale e identitario.
Destra e sinistra, in Italia più che altrove, sono due culture politiche nate all’insegna del conflitto.
Cariche dell’eredità del fascismo e del comunismo, hanno sempre vissuto una contrapposizione radicale. Non mancarono certo attraversamenti e contaminazioni, ma la matrice di fondo è rimasta quella della negazione reciproca.
Per decenni, la scena politica italiana ha funzionato come una sorta di guerra civile permanente – fredda, simbolica, ma ferocemente divisiva.
E ancora oggi, l’abuso stesso dell’etichetta di “fascista” contro chiunque manifesti idee non allineate conferma quanto quel riflesso di ostilità sia duro a morire.
Oggi, molto di quell’impianto ideologico si è sbiadito: le identità politiche sono meno nette, i partiti più fluidi, le appartenenze più superficiali. Eppure, l’eco di quella antica inimicizia resta viva, come un’impronta genetica.
È quell’imprinting di animosità ideologica che riemerge ogni volta che si accusano gli avversari di predicare l’odio e la discriminazione.
Anche senza più sezioni di partito o assemblee militanti, sopravvive la rappresentazione caricaturale del nemico politico.
Sui social network, nei media e ora perfino sulle app di dating, questa dinamica assume forme paradossalmente più sottili ma più pervasivi.
Dire “non uscirei mai con uno di destra” non è più un fatto di idee, ma di appartenenza morale.
Chi si definisce progressista sente di incarnare la parte buona, inclusiva, aperta; di conseguenza, considera l’altro – colpevole solo di non essere allineato – un soggetto moralmente indegno, da evitare come si eviterebbe un contagio.
Non è più scontro tra visioni, ma condanna a priori. L’avversario politico non è interlocutore, ma nemico antropologico.
A destra, spesso si risponde con sarcasmo, con denuncie dell’egemonia culturale o con provocazioni dirette; ma dietro a queste reazioni, spesso scomposte, si cela anche una forma di vittimismo reale.
Perché chi appartiene all’area conservatrice sperimenta quotidianamente un clima in cui il disaccordo non è più legittimo, ma deviante.
La sinistra, da parte sua, non vuole semplicemente battere l’avversario: vuole eliminarlo dal campo simbolico. Non confutarlo, ma cancellarlo.
È un meccanismo di esclusione che opera in silenzio ma in modo efficace: censurare, impedire, boicottare, ignorare. Far finta che chi pensa diversamente non esista.
Tutto questo raggiunge la massima potenza nel mondo della cultura, dell’università, dello spettacolo, dei media.
In questi ambiti, l’orientamento progressista si è imposto come posizione “naturale” o “intellettualmente superiore”, rendendo chiunque la pensi diversamente un intruso da espellere.
Ogni volta che un artista, una scrittrice o una musicista vicina a posizioni conservatrici ottiene visibilità o incarichi, la reazione è sempre la stessa: indignazione, dileggio, richiesta di esclusione.
E così, persino sui profili di Hinge, quella stessa logica di discriminazione ideologica si riproduce in piccolo, ma con uguale arroganza. È la versione sentimentale del politicamente corretto, dove perfino l’amore viene filtrato attraverso la griglia ideologica.
In fondo, la differenza sostanziale tra le due categorie resta questa: la destra vuole confrontarsi, discutere, vincere. La sinistra pretende di possedere un diritto esclusivo alla legittimità morale. E questa convinzione, radicata e autoassolutoria, la condanna alla faziosità e all’isolamento.
Perché alla fine, dietro quella frase apparentemente ironica – “Non uscire con me se sei di destra” – non c’è ironia, ma un riflesso profondo di intolleranza. Una traccia di quella “guerra civile fredda” che da decenni attraversa l’Italia e che, oggi, è arrivata perfino nei cuori (e negli algoritmi) delle app di incontri.