E' un’opera d’arte conosciuta il tutto mondo e rappresenta un bene universale. Tuttavia, la sua immagine va sempre autorizzata e pagata. Lo ha stabilito l’ordinanza cautelare pronunciata dal Tribunale di Venezia dopo il ricorso presentato dal ministero della Cultura e dalle Gallerie dell'Accademia (dove è custodito il capolavoro di Leonardo) contro le società italiane e tedesche Ravensburger AG, Ravensburger Verlag GmbH e Ravensburger s.r.l. che, dal 2009, distribuiscono all'estero, in Italia e online il puzzle del celebre Uomo Vitruviano senza pagare i diritti.
Il Codice dei Beni Culturali prevede (negli articoli dal 107 al 109) che non si possa utilizzare l'immagine di un'opera custodita da un ente senza pagarne le royalties. Il gruppo Ravensburger si è difeso soprattutto sostenendo che l'opera è di dominio pubblico e che eventualmente i diritti andavano pagati per i prodotti venduti in Italia, perché il Codice dei Beni Culturali si riferisce al nostro territorio. Su questa stessa base, secondo il gruppo, anche i siti internet non rientrano nelle contestazioni, visto che hanno una sede legale all’estero.
Il Tribunale di Venezia non ha accettato le motivazioni della difesa. Il gruppo avrebbe dovuto pagare il canone annuale sulle royalties ovunque l'immagine sia stata riprodotta (in Italia, all'estero o sulle piattaforme) perché gli effetti dannosi ricadono sull'ente che detiene l’opera. Ora la Ravensburger dovrà pagare anche una penale di 1.500 euro a favore del ministero della Cultura, per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordinanza.
Va detto che la disputa sul puzzle di mille pezzi, venduto fino a 20 euro nei negozi e online, si sarebbe potuta concludere prima se il gruppo Ravensburger avesse acconsentito a pagare il 10% di royalties come proposto nel 2019 dalle Gallerie dell'Accademia all'inizio del contenzioso. Inoltre le società non hanno mai fornito i dati sull'entità delle vendite, rendendo ancora difficile da quantificare l'entità del risarcimento.